Come scienziati riconosciamo il grande progresso che nasce dalla libertà di pensiero. È nostra responsabilità ribadire il valore di questa libertà: insegnare che il dubbio non va temuto ma accolto e discusso. Esigere tale libertà è un dovere nei confronti delle generazioni a venire.
RICHARD FEYNMAN
Pochi giorni fa mi è capitato di leggere un articolo molto interessante sul tema dell’immaginario collettivo (www.autosufficienza.it) le cui riflessioni mi piacerebbe condividere qui insieme a voi.
E’ convinzione comune che molte delle scelte che prendiamo nella nostra vita siano figlie del libero arbitrio, della nostra autodeterminazione come esseri umani. In realtà, ogni forma di comunità, ogni società è stata ed è educata da un determinato stile di pensiero imperante che condiziona e connota le aspirazioni e i percorsi esistenziali di ognuno di noi.
L’immaginario collettivo è, infatti, quell’insieme di valori, simboli, miti e tabù che, essendo socialmente sostenuto, contribuisce a dare una determinata percezione ed elaborazione della realtà. Per cui, sebbene vi sia la convinzione di vedere il mondo con i propri occhi, di fatto, vediamo con gli occhi di un corpo collettivo, e pensiamo di conseguenza.
L’immaginario veicola bisogni, accende fantasie e desideri, orienta comportamenti e stili di vita; ci persuade, portandoci a tracciare una chiara linea di demarcazione tra ciò che è possibile e ciò che non lo è.
Questa riflessione è importante se si pensa a realtà e persone che, procedendo in direzione “ostinata e contraria”, nel loro piccolo continuano a rompere paradigmi dimostrando, con il proprio esempio, che un altro modo di pensare e di fare è possibile.
Facciamo un esempio.
Nell’immaginario comune occidentale (nota bene) si crede possibile: un solo tipo di Medicina; un solo tipo di raccolta-selezione-legittimazione delle informazioni scientifiche; un solo tipo di servizio medico-veterinario (vedi linee guida e protocolli diagnostici e terapeutici); una sola tipologia strutturale per i luoghi di accoglienza e di cura, e così via.
Essendo le alternative scuole di pensiero deliberatamente ignorate – o, addirittura, osteggiate – tutto questo rischia non solo, di allontanare i ragionamenti critici, ma di dilagare in un pensiero unico e omologato al ribasso.
Quando ho incontrato la Medicina Omeopatica, ho ritrovato una medicina partecipata, nata per l’Uomo (e non viceversa), in grado di restituire al mondo della medicina una visione complessiva e unitaria; che si occupa non solo, dei fondamentali tecnicismi, ma si serve soprattutto del vissuto del paziente per conoscerlo, e dunque, curarlo. Una scienza medica che, nonostante una deriva convenzionale sempre più meccanicista e riduzionista, continua a prendersi cura del malato e non della malattia.
E’ per questo motivo che ho deciso di dedicarmi a pieno titolo all’esercizio di quest’ultima in ambito veterinario, realizzando uno studio per le consultazioni – a misura di animale – con spazi all’aperto dove poter osservare la loro interazione con l’ambiente e sedute a terra, affinché possano sentirsi a loro agio, in un clima accogliente e confortevole.
La piccola goccia nell’oceano che può essere lo Studio Omeopatico VeterinarioPLETEA – costruito in pietra, legno, coccio pesto e marmorino; in un luogo lontano dai centri urbani e immerso nel verde; pensato per la Medicina Omeopatica Veterinaria – vuole essere la scommessa e, al contempo, l’occasione per rivoluzionare un immaginario, per ampliare orizzonti e forme di pensiero che siano d’ispirazione per chi sente, come me, il bisogno di immaginare l’inimmaginabile e – finalmente – incontrarlo.